MeningiteLa meningite è un’infezione delle meningi, delicate membrane che rivestono il midollo spinale e il cervello. E’ quasi sempre una complicanza di un’altra infezione batterica o virale che inizia in un’altra parte del corpo come le orecchie, i seni paranasali, il tratto respiratorio superiore.

La forma batterica è una malattia molto grave che richiede cure mediche immediate. Se non viene trattata immediatamente può portare a morte oppure a un danno neurologico permanente. La meningite virale tende a essere meno grave; la guarigione è completa e in genere senza effetti a distanza.

La gravità di una meningite è molto variabile: da forme asintomatiche o subcliniche, per esempio nel contesto di malattie sistemiche, a episodi fulminanti, che mettono a rischio immediatamente la vita, e si configurano come emergenze mediche.


Prevalenza: nei paesi occidentali la meningite batterica si verifica in circa 3 persone su 100 000 ogni anno. La meningite virale è la forma più comune, pari a 10,9 per 100 000 persone e si verifica più spesso in estate.

La meningite è solitamente causata da un’infezione: la maggior parte delle infezioni sono dovute a virus, ma sono cause comuni anche i batteri, i funghi e i protozoi. Può anche derivare da varie cause non infettive.

Meningite: come si trasmette

La malattia si trasmette da persona a persona per via respiratoria, attraverso le goccioline di saliva e le secrezioni nasali, che possono essere disperse con la tosse, con gli starnuti o mentre si parla. Affinché il contagio avvenga è, comunque, necessario essere a contatto stretto e prolungato con la persona infetta o trovarsi in ambienti molto affollati. Infatti, la propagazione dell’agente patogeno generalmente non supera il raggio di due metri dalla fonte. Tuttavia, l’essere esposti a uno di questi patogeni non comporta necessariamente lo sviluppo della malattia: Per molti agenti patogeni (come meningococco, pneumococco e emofilo), infatti, è frequente lo stato di portatore, cioè di individuo sano, nel cui faringe risiedono questi batteri, senza alcuna sintomatologia e senza un aumentato rischio di sviluppare la malattia.

Meningite: sintomi e diagnosi

I primi sintomi possono essere aspecifici: sonnolenza, cefalea, inappetenza. In genere, però, dopo 2-3 giorni i sintomi peggiorano e compaiono:

  • irrigidimento della parte posteriore del collo (rigidità nucale), a causa dell’irritazione delle membrane meningee;
  • febbre alta;
  • mal di testa;
  • vomito o nausea;
  • battito cardiaco rallentato
  • alterazione del livello di coscienza;
  • convulsioni;
  • nella meningite acuta talvolta possono apparire eruzioni cutanee diffuse su tutta la superficie del corpo, e sempre compare il sintomo di Kernig (quando il paziente è seduto non riesce a mantenere le gambe estese).

Nei neonati, alcuni di questi sintomi non sono evidenti. Si può però manifestare febbre, convulsioni, un pianto continuo, irritabilità, sonnolenza e scarso appetito.


La diagnosi precoce è fondamentale per una prognosi più favorevole della malattia. In presenza di un sospetto è bene rivolgersi immediatamente al proprio medico che valuterà l’opportunità di un ricovero ospedaliero. L’esame cardine della diagnostica è l’analisi del liquido spinale (liquor), attraverso la puntura lombare, con analisi citochimica, colturale e biologia molecolare.

La natura e la gravità dell’infezione può essere stabilita identificando la natura e la quantità dei microrganismi patogeni. Se la meningite è di origine virale, i pazienti sono gravemente malati per alcuni giorni senza per questo perdere conoscenza, e se sottoposti a trattamento antibiotico, di solito si ristabiliscono entro una settimana. Se gli organismi patogeni sono di origine tubercolare, la guarigione richiede un tempo notevolmente più lungo. Inizialmente, i sintomi si limitano a malessere generale, mal di capo e irrequietezza; vengono colpiti anche alcuni nervi craniali.

Se altri bacilli sono gli agenti causali della meningite, come stafilococchi, streptococchi, pneumococchi, i sintomi sono di solito molto evidenti. I pazienti sono gravemente afflitti dalla malattia che rimane seria per due, tre settimane, mentre la remissione è lenta.

La meningite cerebrospinale o meningite cerebrospinale epidemica, è una infiammazione delle meningi, in seguito a invasione della regione meningea da parte di meningococchi (microrganismo Neisseria meningitidis). I batteri penetrano nell’organismo tramite la regione naso-buccale.

Meningite: prevenzione

Per alcune forme di meningite, la vaccinazione può essere una prevenzione efficace. Inoltre qualche accorgimento comportamentale può rivelarsi efficace.

Le meningiti batteriche e virali sono contagiose, tuttavia non lo sono come il raffreddore comune o l’influenza. Possono essere trasmesse attraverso le goccioline di secrezioni respiratorie, durante uno stretto contatto come il bacio, uno starnuto o un colpo di tosse verso qualcuno, ma la meningite non può essere diffusa semplicemente respirando l’aria in cui sia stata presente una persona affetta. La meningite virale è generalmente causata da enterovirus e si diffonde più comunemente attraverso la contaminazione fecale. Il rischio di infezione può essere ridotto modificando i comportamenti che portano alla trasmissione.

La contagiosità del meningococco risulta essere bassa, con rari casi secondari.

Meningite: trattamento

Il trattamento deve essere tempestivo. La meningite batterica viene trattata con antibiotici; la cura è più efficace se il ceppo responsabile dell’infezione viene caratterizzato e identificato. Nel caso di meningiti virali, la terapia antibiotica non è appropriata, ma la malattia è meno grave e i sintomi si risolvono di solito nel corso di una settimana, senza necessità di alcuna terapia specifica, ma solo di supporto.

L’identificazione dell’agente che causa la malattia è importante, sia per orientare la terapia antibiotica del paziente, sia per definire la necessità della profilassi dei contatti.

Meningite: misure di profilassi

Ministero della salute: per prima cosa è necessario identificare al più presto il patogeno per scegliere le misure di profilassi più adeguate.

Occorre identificare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con l’ammalato nei 10 giorni precedenti la data della diagnosi, da sottoporre a chemioprofilassi o a sorveglianza sanitaria.

10 giorni è il tempo massimo previsto per la sorveglianza sanitaria, tenuto conto del massimo periodo di incubazione della malattia. Qualora al momento dell’identificazione fossero già trascorsi 10 giorni dall’ultimo contatto, i soggetti esposti non sono più considerati a rischio.

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