Lo psicologo statunitense John Welwood coniò nel 1984 il termine “Bypass Spirituale” per definire le condotte interiori che spesso le persone (impegnate in un percorso di crescita personale) adottano inconsciamente per evitare di affrontare gli aspetti più dolorosi della propria vita. Di fronte a eventi che possono provocare sentimenti di sofferenza, di forte gelosia, rabbia, tristezza, ecc., si elude il dolore emulando l’atteggiamento di persone elevate spiritualmente, senza però essersi guadagnati realmente questo status attraverso anni di dure e continue battaglie interiori.
Quando si ha difficoltà a tollerare un certo grado di sofferenza psichica, la si aggira (bypassa) rifugiandosi nella spiritualità, come “soluzione facile” ai nostri problemi.
In questo caso, il sentiero spirituale che crediamo di aver percorso è solo un’illusione della nostra mente, quello che in realtà sta avvenendo è solo l’evitamento di una reale e profonda indagine su noi stessi, un mettere a tacere la voce interiore che ci dice che qualcosa non va, un nascondere sotto il tappeto i conflitti, le paure e le difficoltà che chiedono di essere affrontati. Il ricorso a un’interpretazione “spirituale” di una certa situazione di vita, diviene un sostituto per evitare di affrontare le questioni psicologiche, relazionali o concrete irrisolte.
Così John Welwood descrive il termine Bypass Spirituale:
“Quando cadiamo nel ‘Bypass Spirituale’ usiamo la meta dell’illuminazione o liberazione per razionalizzare ciò che chiamo ‘trascendenza prematura’. Proviamo a elevarci oltre il lato reale della nostra umanità prima di esserci confrontati veramente con essa, e averne fatto pace.
Cerchiamo inoltre di usare la verità assoluta per squalificare le nostre necessità umane, le nostre difficoltà nei rapporti o il nostro scarso sviluppo. Credo questo sia una specie di pericolo proprio delle pratiche spirituali, posto che la spiritualità porta con sé l’idea di andare oltre la nostra condizione karmica attuale”.
Questa tendenza si manifesta nelle persone attraverso un atteggiamento di distacco eccessivo (di cui spesso si percepisce la “falsità”), con la repressione di alcune emozioni (tristezza, rabbia, ecc.) o attraverso un’attitudine esagerata verso ciò che è positivo, nascondendo a se stessi e agli altri i propri sentimenti e convinzioni reali, con un grande dispendio di energia.
Nei casi più estremi diventa un vero e proprio Delirio di Illuminazione.
Qualcuno chiama questa tendenza anche “inflazione spirituale”. Già C. G. Jung avvertiva:
Non si raggiunge l’illuminazione fantasticando sulla luce ma rendendo cosciente l’oscurità.
John Welwood:
“E’ facile usare concetti come ‘la Verità del Vuoto’ in una maniera distorta.
L’insegnamento è che i pensieri e le emozioni non hanno un’esistenza reale, che sono soltanto illusioni del Samsara, e che pertanto non dobbiamo prestare loro attenzione. ‘Devi riconoscerle come forme vuote e passare oltre’ è il consiglio che ricevono i discepoli. Questo può essere utile nell’ambito della pratica, però nelle situazioni della vita queste stesse parole possono essere usate per reprimere o negare emozioni che richiedono la nostra attenzione. Me ne sono accorto in numerose occasioni”.
“Temo che ciò che molti ricercatori occidentali stanno praticando non sia distacco, ma evitamento del distacco. Questo non è liberazione dall’attaccamento, è un’altra forma di attaccamento: si attaccano alla negazione delle loro umane necessità, per sfiducia nell’Amore”.
In un processo di crescita personale, la maturità si raggiunge attraverso anni di lavoro interiore appassionato e sincero, niente ci viene regalato. La pienezza la raggiungono uomini temprati spiritualmente, che possiedono caratteristiche di integrità e radicamento.
Welwood: per i veri ricercatori il frutto cade dall’albero per via del peso, non viene colto prematuramente dai rami.
Non si può aggirare il buio per arrivare alla luce. Se non lavoriamo anche sui livelli più bassi della nostra consapevolezza, non costruiremo le fondamenta che dovranno sorreggere le strutture più elevate della nostra conoscenza.
Non possiamo trascendere ciò che non è stato prima affrontato e compreso, non possiamo lasciar andare qualcosa che non abbiamo conosciuto profondamente e non possiamo “fonderci” con l’Esistenza se prima non abbiamo cristallizzato la nostra Essenza.
Agostino Famlonga:
Se di base hai la credenza che la consapevolezza sistemi da sola ogni cosa, la pratica quotidiana può diventare una via di fuga dalla realtà. Un seminario può diventare una sorta di valium metafisico. Una vera e propria “dose” di verità assoluta. Questo bisogno nasce quando nella vita quotidiana non sei in contatto con questa tua verità. Allora devi riempire il serbatoio, devi prendere un’altra dose per tirare avanti nella vita e nelle relazioni.
Nei casi estremi di questa dinamica la persona non è mai venuta in contatto con la dimensione non-duale ma assume semplicemente un sistema di credenze come modo di vivere. Lo fa perché intuisce che dovrebbe essere così, perché è poeticamente affascinante, o perché apparentemente lo eleva sopra gli altri, o ancora perché questo gli permette di mantenere una relazione con un gruppo con cui sente appartenenza. Le motivazioni possono essere molteplici.
Quando manca la conoscenza diretta della dimensione della consapevolezza la persona emana una spiritualità di facciata, completamente mentale e disincarnata dalla sua vita.
Il segnale di allarme per questa condizione è una mancanza di coerenza, con sé stessa e con gli altri: dice una cosa e ne fa un’altra. Fa una cosa quando è in relazione con gli altri, e l’esatto opposto quando è da sola.
A volte gli ideali spirituali sono messi in pratica nei confronti degli altri (ad esempio gentilezza e compassione), ma verso sé stessa invece il trattamento è alquanto differente: la persona manifesta rigidità e durezza.
Roberto Gentile (contatti)
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