TubercolosiLa tubercolosi è una malattia infettiva e contagiosa causata dal Bacillo di Koch (BK) o Mycobacterium tuberculosis (MT), che colpisce soggetti di tutte le età, in tutto il mondo. E’ una malattia prevenibile, mediante l’attuazione di misure di isolamento dei casi contagiosi e di programmi di screening in categorie selezionate.

La Tubercolosi è una delle principali cause di morte infettive a livello globale. Un terzo della popolazione mondiale è infetto dal bacillo della tubercolosi (Tb). Ogni anno, circa nove milioni di persone sviluppano la Tb attiva e 1,4 milioni di persone ne muoiono. È particolarmente letale per le persone HIV-positive.


La malattia, conosciuta bene dalle precedenti generazioni, si sta ripresentando contrariamente alle previsioni fatte circa 20 anni fa, che giustificarono la chiusura dei sanatori antitubercolari.  Nel cinquantennio dal 1955 al 2008 il numero annuale di casi di Tubercolosi registrati nel sistema di notifica nazionale Italiano è passato da 12.247 a 4418.

Recentemente si è assistito a una nuova lenta e progressiva ripresa della tubercolosi.

Tra i possibili motivi della riaccensione epidemica sono da considerare:

  • L’aumento dell’immigrazione dai Paesi ad alta endemia, cioè paesi dove la tubercolosi è molto diffusa.
  • La comparsa di bacilli di Koch resistenti alla terapia antitubercolare tradizionale (si stima che il 3.3% dei nuovi casi diagnosticati e il 20% di quelli precedentemente noti siano resistenti ai farmaci utilizzati come terapia standard; solo nella metà dei casi gli ulteriori farmaci a disposizione risultano efficaci per il trattamento).
  • La coinfezione con l’HIV (in circa il 12% dei casi) il vaccino (BCG) poco efficace per la prevenzione della malattia.

Inoltre, la messa a punto di nuove tecniche diagnostiche, con tempi di risposta più rapidi (quali la Xpert MTB/RIF®), ha reso più agevole la diagnosi e quindi l’individuazione di nuovi casi. Nonostante ciò, attualmente in meno di 2/3 dei casi attesi viene posta diagnosi di malattia tubercolare.

Tubercolosi: trasmissione

Il contagio è facile: bastano uno starnuto di una persona infetta, un colpo di tosse, oppure le goccioline di saliva emesse mentre si parla, perché il bacillo si diffonda nell’ambiente e infetti altri individui.

Non necessariamente tutte le persone contagiate dai batteri della tubercolosi si ammalano subito. Il sistema immunitario, infatti, può far fronte all’infezione e il batterio può rimanere quiescente per anni, pronto a sviluppare la malattia al primo abbassamento delle difese. La forma più diffusa è senza dubbio la tubercolosi polmonare, ma può interessare anche altri organi. In questo caso, si parla di tubercolosi extrapolmonare.

Generalmente si ritiene che su 100 persone contagiate dai micobatteri tubercolari solo 10 svilupperanno la malattia nel corso della vita; 5 nei primi due anni dal momento dell’infezione e 5 successivamente nel corso della vita.

Tubercolosi: sintomi

Non è facile riconoscere la tubercolosi polmonare, perché i suoi sintomi, soprattutto in fase iniziale, sono abbastanza vaghi: si manifesta infatti con tosse, dolore toracico, febbre e perdita di peso. Solo in una fase più avanzata, cioè dopo settimane o dopo mesi, appaiono i primi segni di un disturbo più serio, il più evidente dei quali è la presenza di sangue nell’espettorato.


In alcuni casi, per lo più nei Paesi in via di sviluppo, il virus della tubercolosi fa la sua comparsa insieme a quello dell’HIV: i sintomi della malattia sono allora meno visibili, e si manifestano in genere, purtroppo, solo quando quest’ultima infezione, già in stato avanzato, lascia il soggetto povero di difese immunitarie.

Tubercolosi: diagnosi

Si fa diagnosi di malattia tubercolare con:

  • Esami strumentali– In base alla localizzazione tubercolare sospetta, si eseguono esami radiologici (TAC e radiografie).
  • Esami istologici– Si esegue la biopsia delle lesioni sospette.
  • Esami di laboratorio– Ricerca del bacillo di Koch su materiale biologico (urine, espettorato, aspirato gastrico, pleura, liquor), esami di microbiologia classica (ricerca diretta al microscopio, colture) e di biologia molecolare come la “PCR” che permette di svelare il DNA del bacillo di Koch.

Per fare diagnosi di infezione si utilizzano due test: il test cutaneo alla tubercolina e il Quantiferon.

Questi servono a individuare le persone con infezione tubercolare latente e a monitorare individui che per motivi professionali o epidemiologici sono maggiormente esposti alla tubercolosi.

Durante tale monitoraggio un esame che da negativo diventa positivo documenta la recente infezione tubercolare.

Test cutaneo alla tubercolina

Il test cutaneo (intradermoreazione alla Mantoux, il più vecchio esame diagnostico ancora in uso; è stato messo a punto nel 1907) è un test di semplice esecuzione che si fa inoculando nella cute del soggetto una piccola quantità di tubercolina, una proteina purificata derivata dalla parete dei micobatteri.

La lettura di questo test va effettuata 48-72 ore dalla somministrazione, misurando l’eventuale infiltrato o nodulo che si è formato. Se questo infiltrato ha dimensioni tra 5-10 mm, il test è positivo.

Il Quantiferon

È un test che si esegue su sangue venoso ed è basato sulla misurazione dell’interferone-gamma rilasciato dai linfociti sensibilizzati del sangue intero incubato per una notte con il derivato proteico purificato di M. Tuberculosis.

Rispetto al test cutaneo il quantiferon è:

  • più sicuro, non invasivo in quanto non prevede la somministrazione di tubercolina;
  • richiede un singolo prelievo di sangue intero e non necessita che il paziente ritorni per l’interpretazione del test.

(Fonte: nurse24.it)

Tubercolosi: decorso

La tubercolosi ha un decorso di quattro fasi, ciascuna delle quali è accompagnata da sintomi diversi.

La prima è l’infezione primaria, causata dal contatto tra bacillo di Koch e soggetto sano. In questa fase il contagiato non presenta alcun sintomo.

La seconda fase, tubercolosi primaria, si presenta quando l’infezione primaria non è controllata dal sistema immunitario e si sviluppa la malattia.

Nel 95% dei casi in cui non si manifesta la malattia subito dopo l’infezione, i bacilli restano localizzati nel polmone e nei linfonodi rimanendo silenti. Da questo momento nel sangue circolano anticorpi specifici che lo proteggeranno da nuovi contatti col bacillo. Un piccolo numero di bacilli, però, rimane nascosto in particolari lesioni polmonari (chiamate tubercoli, da cui il nome della malattia), ed eventualmente nei linfonodi e sfuggono all’azione di questi anticorpi.

Nel 5% circa dei casi si può avere a distanza di mesi, o anche di molti anni, una riattivazione dei bacilli rimasti nascosti nell’organismo e si può cosi manifestare la tubercolosi post-primaria (terza fase): se le difese immunitarie sono indebolite i bacilli tubercolari si diffondono nell’intero polmone.
In questa fase il malato ha disturbi che somigliano a un’influenza, ma la tosse è spesso accompagnata da emottisi (emissione di sangue con l’espettorato) e difficoltà respiratorie in quanto le lesioni del polmone sono più gravi e numerose ed è facile che alcuni vasi capillari si rompano con fuoriuscita di sangue.

Nell’ultima fase, la tubercolosi extra-polmonare, i bacilli tubercolari si diffondono attraverso il sangue e la linfa, con successiva localizzazione in vari organi e tessuti.

Le sedi più frequentemente coinvolte, ciascuna con sintomi propri, sono:

  • pleura
  • sistema linfatico
  • apparato genito-urinario
  • pelle
  • colonna vertebrale

Più grave – e molto più rara – è la tubercolosi miliare, che costituisce il 10% dei casi di tubercolosi extrapolmonare e che interessa contemporaneamente tutto l’organismo.

Tubercolosi: trattamento

Una diagnosi precoce consente di adottare gli opportuni interventi terapeutici e di ottenere la guarigione.

I farmaci comunemente utilizzati nella cura della tubercolosi sono antibiotici, che attaccano e uccidono i batteri e devono essere utilizzati in modo accorto.

Poiché la durata delle cure per la tubercolosi è molto lunga, può accadere più facilmente che i soggetti affetti dalla malattia non assumano i farmaci per tutto il periodo necessario alla guarigione e in modo corretto.

Essendo i batteri organismi viventi, in seguito all’attacco proveniente dagli antibiotici, possono sviluppare forme di difesa, che permettono loro di resistere all’azione dei farmaci stessi.

In particolare, quando gli antibiotici sono utilizzati in maniera non corretta (rispetto alle dosi, al numero di somministrazioni, ai tempi necessari per la guarigione), i batteri possono adattarsi a essi e sviluppare una resistenza agli antibiotici (antibiotico-resistenza).

Oggi la multiresistenza agli antibiotici da parte dei batteri della TBC rappresenta uno dei maggiori problemi per la soluzione della malattia.

Questo non significa che non si sia più in grado di curare la TBC. Vuol dire piuttosto che, nella lotta con i farmaci ai batteri che la causano, va studiata la combinazione di più antibiotici o va scelto l’antibiotico più adatto alla terapia di quel singolo caso di TBC.

I farmaci antitubercolari oggi utilizzati sono:

  • l’isoniazide
  • la rifampicina
  • la pirazinamide
  • la streptomicina
  • l’etambutolo

in diverse combinazioni tra loro per la terapia di “attacco” e la successiva terapia di mantenimento.

Spetta al medico decidere la terapia più idonea, in base a dettagliate informazioni raccolte dagli esami chimici e strumentali e dalla storia clinica del paziente da trattare.

Il trattamento con farmaci antitubercolari, una volta iniziato, va seguito scrupolosamente e va accompagnato da esami di controllo, che forniscono ulteriori informazioni sull’andamento del processo di guarigione o su eventuali necessità di cambiamento della terapia.

Durata del trattamento

La terapia dovrebbe essere iniziata presso gli ambulatori specialistici o in regime di ricovero ospedaliero per i casi più complessi o più gravi. E’ necessario che il paziente resti in contatto con la struttura che ha prescritto la terapia, per i successivi controlli.

La terapia può durare da 6 mesi a 18-24 mesi.

Per evitare che si instauri una resistenza ai farmaci antitubercolari, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e le Associazioni scientifiche hanno studiato una strategia chiamata DOT, che significa Terapia Osservata Direttamente, dalle lettere iniziali delle parole inglesi Directly Observed Therapy.

La DOT è, appunto, quel regime di terapia in cui il medico si assicura che il paziente assuma la sua dose di farmaci ogni giorno. Introdotta negli anni ’90, la DOT è considerata, attualmente, uno dei metodi più efficaci per curare la TBC e per evitare l’insorgenza della resistenza agli antibiotici.

Con questo tipo di trattamento terapeutico, seguito “diligentemente”, il periodo di cura della TBC dura circa 6 mesi.

Raccomandazioni generali

Ognuno di noi può e deve contribuire a far sì che il trattamento antibiotico risulti efficace, senza rischiare

di promuovere lo sviluppo di microrganismi resistenti.

A prescindere dal tipo di infezione batterica da trattare, ecco alcune regole da rispettare per un uso

corretto e responsabile degli antibiotici:

  • Riferire al medico se si soffre di allergie a farmaci, se conosciute, e comunicare se si stanno già prendendo altri farmaci.
  • Assumere l’antibiotico in maniera continuativa, per tutto il periodo prescritto, alle dosi e ai tempi corretti. Se non si osserva questa regola i batteri potrebbero sopravvivere, prolungando la malattia, e potrebbero diventare resistenti all’antibiotico che si sta prendendo, rendendo più difficile il trattamento e, quindi, la guarigione.
  • Assumere l’antibiotico, preferibilmente, sempre alla stessa ora del giorno. Può darsi che siano state prescritte più dosi di antibiotico in uno stesso giorno. Prenderlo sempre alla stessa ora favorisce il ricordo della “scadenza” e permette al farmaco di funzionare meglio.
  • Non dimenticare di prendere l’antibiotico. A riguardo può essere utile collegare l’assunzione del farmaco ad alcuni gesti che si fanno quotidianamente (per esempio, dopo essersi lavati i denti; prima di andare a dormire).
  • Non trascurare disturbi che si possono presentare mentre si prendono gli antibiotici, ma parlarne con il medico, che potrà valutare se questi disturbi sono causati dai farmaci. A volte il medico potrà decidere di cambiare l’antibiotico, altre volte sarà sufficiente cambiarne il dosaggio o il tempo d’assunzione perché il disturbo passi.

(Fonte: Ministero della Salute)

Tubercolosi: prognosi

La prognosi della tubercolosi polmonare è spesso difficile perché questa malattia può avere aggravamenti rapidi e imprevisti, regredire o anche guarire a livello dei polmoni e manifestarsi in altra sede (per esempio nelle meningi) con una lesione fatale.

Nel bambino e nell’adolescente, la prognosi è sempre più grave che nell’adulto. Comunque è migliore nei malati di ogni età che si curano abbastanza precocemente e con assiduità. Nonostante i progressi della terapia, la tubercolosi polmonare è però ancora una malattia grave: si registra, in media, un decesso all’anno su 5-10 casi di tubercolosi polmonare evolutiva.

Tubercolosi: prevenzione

La prevenzione della tubercolosi può essere attuata con la vaccinoprofilassi o con la chemioprofilassi.

Nel primo caso, la profilassi serve a impedire l’infezione se si viene a contatto con il bacillo della tubercolosi; nel secondo caso la profilassi serve a impedire che l’infezione primaria evolva a malattia tubercolare.

Vaccino antitubercolare

La profilassi primaria dell’infezione della tubercolosi è attuata tramite vaccinazione.

Il vaccino antitubercolare, usato per la prima volta nel 1921, contiene un ceppo vivo attenuato di Mycobacterium bovis, il bacillo di Calmette-Guerin (BCG). La via di somministrazione raccomandata è quella intradermica; altre vie di somministrazione utilizzate sono state quella percutanea e quella orale che hanno presentato però problematiche legate a minor efficienza della risposta immunitaria (percutanea vs intradermica), di parziale inattivazione della dose (orale vs intradermica o percutanea), di effetti collaterali più significativi (maggior rischio di linfoadenopatia cervicale con la somministrazione orale.

Il tipo di reazione immunitaria indotta dal vaccino BCG è simile a quella osservata in caso di infezione naturale. L’immunità indotta dal vaccino si sviluppa dopo circa 6 settimane. La durata dell’immunità non è nota, ma si ritiene che venga persa in un arco di tempo compreso tra i 10 e i 20 anni.

L’efficacia protettiva del BCG per prevenire forme gravi di TBC (per esempio la meningite) nei bambini è maggiore dell’80%. Il vaccino BCG non si è dimostrato affidabile come strumento di prevenzione verso la tubercolosi polmonare negli adulti, che rappresenta la forma più comune di malattia tubercolare e quella maggiormente coinvolta nella diffusione dell’infezione. Contro questo tipo di infezione il vaccino BCG infatti ha evidenziato un’ampia varietà di risposta (0-80%) le cui cause non sono tuttora state ancora chiarite.

Chemioprofilassi

Per chemioprofilassi si intende la somministrazione di farmaci per prevenire una possibile malattia infettiva; è primaria quando la somministrazione coinvolge una persona sana, è secondaria quando coinvolge una persona già infettata, ma che non ha ancora manifestato clinicamente la malattia.

La chemioprofilassi in pazienti con infezione tubercolare (asintomatici), è volta a impedire la conversione da infezione primaria a malattia conclamata ed è raccomandata:

  1. per le persone positive al test della tubercolina che presentano fattori di rischio per la tubercolosi (contatto recente con persone malate di tubercolosi, HIV-positive, diabete mellito, cirrosi epatica, silicosi, tumore, terapia immunosoppressiva, persone profondamente debilitate);
  2. per le persone con recente cuticonversione (sviluppo di risposta anticorpale) del test della tubercolina.

La chemioprofilassi è anche raccomandata in persone non infette (test della tubercolina negativo) venute recentemente a contatto con pazienti malati di tubercolosi (questo caso riguarda soprattutto i bambini e gli adolescenti). In alcuni casi, come ad esempio pazienti con grave immunodepressione, la chemioprofilassi potrebbe essere indicata anche se il test della tubercolina è negativo.

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