Terapia biologica tumore polmone: le terapie biologiche, dette anche “targeted therapies” (ovvero “terapie a bersaglio”), sono rivolte contro i meccanismi che controllano la crescita e la diffusione del cancro (bersagli molecolari).
Possono includere:
- anticorpi monoclonali;
- inibitori di fattori di crescita o dei loro recettori;
- vaccini;
- terapie genetiche.
Le targeted therapies, cioè i farmaci cosiddetti “biologici” o “intelligenti”, agiscono in modo selettivo su recettori cellulari specifici.
Questa azione selettiva influenza il risultato terapeutico e risparmia le cellule sane, con un miglioramento quindi della tollerabilità del trattamento, a vantaggio del paziente e della sua qualità di vita. I risultati ottenuti in questi ultimi anni sono ottimi.
Terapia biologica tumore polmone
La terapia biologica più frequentemente utilizzata nel tumore polmonare è rivolta contro il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR), e viene somministrata per via orale (gefitinib, erlotinib). Negli ultimi anni è stato dimostrato che la presenza di mutazioni attivanti a carico dell’EGFR rende particolarmente sensibile il tumore a tali farmaci biologici che agiscono bloccando l’attivazione del recettore.
Un altro agente biologico utilizzato in casi selezionati in associazione a chemioterapia contenente platino è bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF).
Terapia biologica tumore polmone: limiti
La restrizione maggiore per l’impiego di queste terapie è il loro campo d’azione, limitato a quelle particolari neoplasie che dipendono da alterazioni molecolari specifiche. Va inoltre considerata la possibilità che il corpo sviluppi una resistenza al trattamento, cioè che il farmaco diventi nel tempo meno efficace. Senza dimenticare i costi molto elevati, che derivano da una selezione attenta dei pazienti.
Terapia biologica tumore polmone: come funziona
Dal punto di vista del principio d’azione, le terapie mirate sono assimilabili alla chemioterapia: entrambe interagiscono con i meccanismi di crescita neoplastica. Anche la chemioterapia, infatti, ha un bersaglio specifico, costituito dalla replicazione cellulare, e agisce direttamente sulle cellule tumorali attraverso un agente esterno, esogeno. In questo senso sia le targeted therapies che la chemioterapia si differenziano chiaramente dall’immuno-oncologia.
Le terapie “su misura” possono agire su uno o più fronti, in particolare l’anti-angiogenesi, cioè il tentativo di ostacolare lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni, fondamentali per nutrire il cancro, è la via che oggi appare più promettente. Basti pensare che con queste molecole è possibile aumentare la sopravvivenza in pazienti colpiti da tumori del colon-retto, della mammella, del polmone e del rene in stadio anche molto avanzato, risultati impensabili con la sola chemioterapia.
I mediatori più studiati sono i fattori di crescita, in particolare il Vascular Endothelial GrowthFactor (VEGF). Il grande limite dei farmaci chemioterapici è la comparsa della resistenza tumorale, che consiste nella selezione di cellule tumorali in grado di crescere nonostante l’azione del farmaco: questo si verifica, dopo un certo tempo, anche nei pazienti che inizialmente rispondono alla terapia. I farmaci anti-angiogenici provano ad aggirare questo ostacolo, perché i loro bersagli non sono le cellule neoplastiche ma i vasi che le alimentano.
Questi vantaggi hanno portato a un nuovo modello nel trattamento antitumorale, non più diretto a distruggere le cellule cancerose ma a colpirle, tenendole sotto controllo. Come ha scritto Moses Judas Folkman, uno dei padri di questa nuova branca della medicina: “Arrestare la crescita tumorale potrebbe portare i pazienti a convivere per anni con il tumore come con una malattia cronica quale il diabete”.
(Fonte: Associazione Italiana di Oncologia Medica)
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