La rabbia è una malattia virale che causa l’infiammazione acuta del cervello negli esseri umani e in altri animali a sangue caldo. I primi sintomi possono includere febbre e prurito nel sito di esposizione. Questi sintomi sono seguiti da uno o più segni: movimenti violenti, emozioni incontrollate, paura dell’acqua, incapacità di muovere parti del corpo, confusione e perdita di coscienza.
Una volta che i sintomi compaiono, quasi sempre la malattia si conclude nel decesso. Il periodo di tempo tra il momento in cui la malattia viene contratta e l’inizio dei sintomi varia solitamente da meno di uno a tre mesi; tuttavia, questo periodo di tempo può andare anche da meno di una settimana a più di un anno. Il tempo dipende dalla distanza che il virus deve percorrere per raggiungere il sistema nervoso centrale.
Rabbia: cause
La trasmissione del virus della rabbia agli esseri umani di solito è dovuta al morso di un animale infetto, ma può avvenire anche tramite contatto diretto delle membrane mucose o di ferite dell’epidermide con materiale infetto (ad es. saliva, tessuti neurali, fluido cerebrospinale). La replicazione virale comincia all’interno delle fibrocellule muscolari striate prossime al punto di inoculazione.
Il virus si diffonde poi lungo il nervo sino al sistema nervoso centrale in cui si moltiplica; quindi prosegue attraverso i nervi efferenti verso le ghiandole salivari e compare nella saliva. L’autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l’esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose.
Rabbia: sintomi
Negli esseri umani, il periodo tra l’infezione e la presenza dei primi sintomi simil-influenzali è tipicamente variabile tra le 2 e le 12 settimane. Tuttavia, sono stati documentati periodi di incubazione di quattro giorni e fino a sei anni, secondo la posizione e la gravità della ferita contaminata, nonché della quantità di virus introdotto. Segni e sintomi possono consistere in una lieve o parziale paralisi, ansia, insonnia, confusione, agitazione, comportamento anormale, paranoia, terrore e allucinazioni, fino al delirio. La persona può sviluppare idrofobia.
Solitamente si susseguono tre fasi:
- Fase prodromica: dopo il morso si possono rilevare sintomi aspecifici, quali febbre,cefalea, L’unico sintomo specifico, che si presenta nel 60% dei casi, è una parestesia nella sede del morso.
- Fase di latenza o “rabbia furiosa”. Tipica di questa fase è l’idrofobia, unlaringospasmo doloroso in seguito al tentativo di far bere il paziente (negli animali tale sintomo non si verifica).
- l’ultima fase è quella terminale, quando cioè il virus ha colonizzato i tessuti del sistema nervoso centrale e in cui si hanno sintomi neurologici. La sintomatologia prevalente (75% dei casi) è di tipo furioso (formafuriosa), con aggressività, irascibilità, perdita di senso dell’orientamento, allucinazioni, iperestesia, meningismo, lacrimazione, aumento della salivazione, priapismo, eiaculazione spontanea, Babinsky positivo, paralisi delle corde vocali e idrofobia. Nel restante 25% dei casi si ha una sintomatologia di tipo paralitico (forma paralitica).
La morte avviene per lo più da 2 a 10 giorni dopo i primi sintomi. La sopravvivenza è rara una volta che i sintomi si sono presentati, anche con la somministrazione di una corretta e intensiva terapia.
Rabbia: diagnosi
La diagnosi clinica della rabbia non è affidabile. La diagnosi definitiva può essere eseguita solo con l’esame di laboratorio. La diagnosi post-mortem è effettuata sul SNC e comprende come test di elezione l’immunofluorescenza diretta (FAT) e l’isolamento del virus in coltura cellulare (RTCIT). La RT-PCR e le altre tecniche di amplificazione sono di solito utilizzate come test di conferma.
La diagnosi intra-vitam è utilizzata spesso nell’uomo a partire da saliva, urina, liquido cefalorachidiano e biopsia cutanea effettuata sulla nuca e prevede tecniche di FAT, RTCIT e RT-PCR.
Rabbia: prevenzione
La prevenzione nei confronti della rabbia si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche.
Devono essere sicuramente sottoposti a vaccinazione:
- i cani e i gatti domestici
- gli animali domestici condotti al pascolo o che comunque si spostano nei territori a rischio.
Oltre agli interventi di prevenzione destinati agli animali domestici, è indispensabile, nelle aree infette e nelle aree a rischio, predisporre e realizzare programmi pluriennali di vaccinazione orale delle volpi, che andranno realizzati fino all’eradicazione dell’infezione e per almeno due anni successivi all’ultimo caso di rabbia riscontrato.
Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi.
Nel caso di esposizione ad animale sospetto di rabbia, è importante lavare la ferita con abbondante acqua e sapone per almeno 15 minuti, disinfettarla e recarsi immediatamente al pronto soccorso per le cure del caso.
Rabbia: trattamento
Negli esseri umani non vaccinati, dopo che i sintomi neurologici si sono sviluppati, la rabbia ha un tasso di letalità prossimo al 100%: i casi di remissione sono rarissimi.
Il trattamento a seguito dell’esposizione, se somministrato tempestivamente, può prevenire la malattia; generalmente è necessario procedere entro 10 giorni dall’infezione. Entro pochi minuti è utile lavare accuratamente la ferita con acqua e sapone per circa cinque minuti in modo da ridurre il numero di particelle virali. L’utilizzo di alcool o iodopovidone è raccomandato per ridurre ulteriormente i virus.
Negli Stati Uniti, il Centers for Disease Control and Prevention raccomanda che le persone contagiate ricevano una dose di immunoglobuline della rabbia umana (HRIG) e quattro dosi di vaccino contro la rabbia nel corso di un periodo di 14 giorni. La dose di immunoglobuline non deve superare le 20 unità per kg di peso corporeo. L’HRIG è costoso e costituisce la maggior parte del costo del trattamento post-esposizione. La dose deve essere iniettata quanto più possibile intorno alle iniezioni, mentre il resto deve essere somministrato per iniezione intramuscolare profonda in un sito distante dal sito di vaccinazione.
La prima dose di vaccino contro la rabbia deve essere somministrato appena possibile dopo l’esposizione, con ulteriori dosi a tre giorni, a sette e a 14 dopo la prima. Ai pazienti che hanno precedentemente ricevuto la vaccinazione pre-esposizione non devono essere somministrate le immunoglobuline, solo le vaccinazioni post-esposizione nei giorni 0 e 3.
Nel caso di un ritardo significativo, il trattamento può tuttavia avere ancora una possibilità di successo.
Trovare un pipistrello in stanza al risveglio o trovarne uno nella stanza di un bambino non controllato o di un disabile mentale o tossicodipendente, è considerato come una indicazione per la profilassi post-esposizione (PEP).
Rabbia: coma indotto
Nel 2004, l’adolescente statunitense Jeanna Giese sopravvisse a un’infezione della rabbia nonostante non fosse vaccinata. Fu messa in coma indotto appena si presentarono i sintomi e le fu somministrata ketamina, midazolam, ribavirinae amantadina. I suoi medici tentarono questo trattamento sull’ipotesi che gli effetti negativi della rabbia fossero causati da disfunzioni temporanee nel cervello e che potessero essere evitati inducendo una interruzione momentanea e parziale delle funzioni del cervello al fine di proteggerlo dai danni, dando il tempo al sistema immunitario di sconfiggere il virus.
Dopo 31 giorni di isolamento e 76 giorni di ricovero, Jeanna fu dimessa dall’ospedale. In lei si preservarono tutte le funzioni del cervello di livello superiore, ma fu riscontrata una incapacità di camminare e di mantenere l’equilibrio.
Il regime di trattamento cui Jeanna venne sottoposta divenne noto come il “protocollo di Milwaukee“, che da allora è stata sottoposto a revisioni, con la seconda versione che omette l’uso della ribavirina. Due dei 25 pazienti trattati con il primo protocollo sono sopravvissuti, mentre ulteriori 10 pazienti sono stati trattati con il protocollo revisionato conseguendo 2 guarigioni.
(Fonte: Wikipedia)
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